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Generazione X

Sapere aude

Il miracolo estetico-economico di Gravity

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C’è niente di nuovo sotto il sole? Stando alle voci di corridoio, il clamoroso capolavoro del regista Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello Spazio – pellicola del 1968 che, da decenni, si è imposta quale opera di riferimento nel genere della fantascienza – avrebbe un degno rivale. Si tratta di Gravity, un film scritto e diretto da Alfonso Cuarón Orozco – figlio maggiore della GX, nato nel 1961 a Città del Messico – che il 28 agosto ha inaugurato la 70ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Consensi, lodi ed entusiasmi quasi unanimi hanno accolto il lungometraggio tridimensionale – campione al botteghino pure in Italia, ov’è stato distribuito il 3 ottobre – ambientato sullo Space Shuttle: nel giro di una sola settimana dall’uscita nelle sale mondiali, l’investimento da cento milioni di dollari della Warner Bros è rientrato nelle casse. La dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock), fluttuante in coulotte a bordo del veicolo spaziale, ha entusiasmato il pubblico maschile più di quanto l’intelligenza artificiale di Hal 9000 avrebbe mai potuto calcolare: c’è da scommettere che il supercomputer dall’atteggiamento antropomorfico ne sarebbe invidioso. Per sua (s)fortuna, l’esperta ingegnere biomedico Stone non appartiene al disgraziato equipaggio della Discovery One.

Nel compiere improbabili traversate di piani orbitali grazie a un potente “zainetto-jet”, anche il comandante Matt Kowalsky (George Clooney) in confronto a David Bowman – l’unico superstite della missione su Giove, costretto a disabilitare le particolari funzioni dell’assassino cibernetico con un misero cacciavite – è di gran lunga favorito dalla sorte. Il regista messicano osannato dalla critica pare aver messo a segno un colpo micidiale al colosso kubrickiano:“Cuarón fa di Gravity qualcosa di bellezza trascendente e terrore. È più di un film. È una specie di miracolo” – esulta Peter Travers dalle pagine di Rolling Stone1.

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Al contrario, l’odissea sceneggiata dall’autore sci-fi Arthur Charles Clarke – all’epoca 51enne – non fu acclamata con simili panegirici. Nel gennaio del ’69, l’affermato scrittore e drammaturgo Ennio Flaiano – che collaborò ai più celebri film di Fellini – descrisse la reazione del pubblico in una domenica capitolina. Turbamento e una certa delusione:

Chiamati a una festa di fantascienza, forse con punte di spionaggio spaziale ed erotico, si trovano davanti a un film che dispiega una certa ironia swiftiana sulle sorti umane e progressive in relazione alla conquista dello Spazio. A una componente poetica, che ricorda Poe, per esempio Gordon Pym nel suo interminabile viaggio verso il mostruoso Nulla, si aggiunge quella tecnologica della Nasa, stazioni, veicoli, organizzazioni spaziali, il tutto già largamente ipotizzato anche dai fabbricanti di giocattoli, ma mai visto come ora nella loro solenne, precisa inutilità.
Le conclusioni di Kubrick sono scoraggianti, tanto vale dire reazionarie. Non vi aspettate molto dallo Spazio, è praticamente vuoto. Le possibilità turistiche sembrano limitate2.

Il comandante Bowman disabilita Hal 9000
Il comandante Bowman disabilita Hal 9000

Oggi più di ieri, l’inquietante onnipresenza del misterioso parallelepipedo, quel nero monòlito che incombe fin dai primordi sull’evoluzione umana – e “i cosmonauti si ritrovano fra i piedi”3 perfino nella progredita èra spaziale – può soltanto preoccupare, affliggere le platee. Astronauti ibernati e uccisi nella loro solitaria e totale incoscienza; un pilota abbandonato alla siderale oscurità dell’infinito e, per giunta, la deriva estrema del comandante Bowman ai confini del sistema solare, per essere risucchiato nella quarta dimensione: non sono argomenti tanto allettanti da sborsare i soldi del biglietto – in special modo, nel cinema al tempo della crisi, mentre si susseguono senza tregua le sale in vendita. Le speculazioni filosofiche sul rapporto umano con lo spazio-tempo e sui limiti del pensiero scientifico non fanno audience.

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Era necessaria la “commovente bellezza estetica” del lavoro svolto dal pluripremiato direttore della fotografia Emmanuel Lubezki Morgenstern nel dipingere una classica storia di lotta per la sopravvivenza, oltre a un cast di sex symbol collaudati – Angelina Jolie ha rifiutato il ruolo da protagonista, emulata poi da Natalie Portman e dalla modella statunitense Blake Lively – ad attirare la curiosità e gli sguardi del pubblico. Per non dimenticare una serie d’imbarazzanti artifici tecnico-scientifici volutamente realizzati dagli sceneggiatori, onde evitare di ritrarre elementi “sgradevoli”. Ne citiamo soltanto un paio: a gravità zero, i capelli della seducente 49enne Sandra Bullock dovrebbero galleggiare in alto sulla testa. Potete immaginare l’esilarante risultato – e se volete risparmiare la fatica, vi basterà osservare l’astronauta Karen Nyberg farsi uno shampoo4 a bordo della Stazione orbitale internazionale; per concludere, non vorremmo turbare le vostre fantasie erotiche fantascientifiche – qualora ne aveste – ma, come rivelato da Samantha Cristoforetti, prima italiana scelta dall’Agenzia spaziale europea per andare (fra un anno) in orbita, l’abbigliamento intimo usato dai colleghi durante le “passeggiate” spaziali è “una maglia con circa 100 metri di tubicini che servono per mantenere la temperatura corporea mentre fuori si passa da più cento gradi a meno 120”5.

Del resto, a parere di adepti finanziari della casa di produzione cinematografica e televisiva statunitense, come spettatori non sarete mica in cerca di “realismo assoluto”: in tal caso, sentenziano inesorabili, bisogna optare per un documentario della Nasa.

A nostro avviso, meglio sarebbe affidarvi a “un’esperienza visiva che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio” come disse Kubrick – e (aggiungiamo noi) che non necessita tassativamente di un maxischermo di 12 metri d’altezza e occhiali 3D per essere apprezzata. Esperienza in celluloide e realistica riproduzione del – noioso – ambiente spaziale che non è mai stata miracolo economico, bensì opera d’arte.

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Note:
1 Peter Travers, “Gravity”, Rolling Stone reviews, 3 ottobre 2013.
2 Ennio Flaiano, 2001, un’odissea al parallelepipedo, L’Europeo N.1 1969.
3 Ivi.
4 Video realizzato dall’astronauta Nasa Karen Nyberg, How to wash hairs in spaceship, Spedizione N.36 2013.
5 Samatha Cristoforetti, L-418: altre riflessioni su Gravity, Astronautinews, 9 ottobre 2013.
Flora Liliana Menicocci

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