Psicopatologia del politico III
Eziologia
Il capitalismo è l’unico dispositivo macchinale che si è edificato sopra (nel significato di schiacciando) norme e codici etici condivisi dagli uomini sin dalla notte dei tempi. Esso ha messo al posto dei sopraddetti imperativi morali un ‘aforisma’ di realtà inessenziali chiamato danaro. Tale mezzo è retto da una fabbrica di false esigenze, le quali disegnano i confini del capitalismo stesso. È logico, quindi, che il medesimo cerchi di contrastare con tutte le forze – specie da dopo l’estinzione del proprio avversario geopolititico-economico – i movimenti popolari e nazionali che ne affrettano la crisi. Uno di tali passi è la sostituzione del tradizionale ceto politico – il quale sino a vent’anni fa rappresentava ogni lavoratore e cittadino – con degli esemplari del regno animale, il cui unico scopo vitale è il soddisfacimento dell’incontenibile avidità di soldi, prevaricante posizione sociale, sesso smodato e molta chimica. Le patologie mentali di alcuni politici sono cercate e favorite dai decisori del sistema stesso onde eroderlo dall’interno, affinché costoro abbiano bisogno del liberal-capitalismo in guisa di femmine, cocaina, eroina, lusso, ecc. Soggetti (rectius: oggetti) in cui non v’è traccia di un accenno – neppur velatamente sentimentale – destinato alla funzione politica che, in teoria, quegli individui stanno adempiendo. Ciò perché la manifestazione del danaro, in quanto relazione basilare nel capitalismo, è il proprio movimento. Dimostra che l’essenza stessa produttiva del capitalismo non può funzionare se non in tal forma necessariamente commerciale e finanziaria che la governa, e i cui successioni e rapporti reciproci contengono il segreto dell’investimento di desiderio. L’integrazione della cupidigia avviene, infatti, a livello dei flussi monetari trasformati, attraverso il concorso del continuo-sentir-dire (mass media), in ‘ideologia’ stessa. Affermano Gilles Deleuze (1925-95) e Félix Guattari (1930-1992):
personificato, cioè come funzione derivata dal flusso di capitale, il lavoratore come forza-lavoro personificata, funzione derivata dal flusso di lavoro. Il capitalismo riempie così d’immagini il suo campo d’immanenza: anche la miseria, la disperazione, la rivolta, e d’altro canto la violenza e l’oppressione del capitale diventano immagini di miseria, di disperazione, di rivolta, di violenza o di oppressione. Ma a partire dalle figure non figurative o dai tagli-flussi che le producono, queste immagini non saranno a loro volta figuranti e riproduttive se non investendo un materiale umano, la cui forma specifica di riproduzione ricade fuori dal campo sociale che tuttavia la determina. Le persone private sono dunque immagini di secondo grado, immagini di immagini, cioè ‘simulacri’ che vengono così abilitate a rappresentare l’immagine di primo grado delle persone sociali [i cittadini, n.d.G.A.]1.
Interpretando le parole dei due studiosi francesi vi invito a prefigurare quel giovane che tanto-ieri-fa ha iniziato a far politica, e che anni dopo – realizzatosi nei sopraddetti personaggi – pensasse ancora: “Lo faccio perché lotto contro il sistema”, “… per la felicità dei lavoratori”, “… per la società senza classi”, “… per un mondo cristiano privo di ingiustizie”. Non l’aveva mai pensato! C’era unicamente un ex ventenne del passato che agiva – con i colori di chi vi pare – per lo sviluppo e il trionfo di capitalismo e liber(al)ismo: ossia offriva continuativamente il suo contributo pseudo-amministrativo allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e al proprio opulento conto corrente. Questi sono i malati incurabili che cercherò di capire nel presente saggio.
Note:
1 Gilles Deleuze, Félix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, 2ª ed., pp. 300-301.
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