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Ancora pericoli di cessazione definitiva per l’autorevole rivista Affari Esteri?

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Si torna ancora una volta a parlare della chiusura dello storico periodico «Affari Esteri». Ci rivolgiamo a Giovanni Armillotta: fra i più regolari collaboratori nel recente decennio; webmaster del relativo sito-web; nonché cultore di Storia e istituzioni dei Paesi afro-asiatici all’Università di Pisa, giornalista e saggista.

G.X.: Armillotta, ci parli della rivista.

G.A.: Se mi permette prima di parlare di «Affari Esteri», vorrei fare una riflessione. Sin dal 1969 – anno di fondazione della rivista – ministri degli Esteri di estrazione democristiana, oppure originariamente di scuola non liberale: pensi a Giuseppe Medici (Dc), Pietro Nenni (Psi), Aldo Moro (Dc), Giulio Andreotti (Dc), Gianni De Michelis (Psi), Giancarlo Fini (ex Msi), Massimo D’Alema (ex Pci), ecc., attraverso finanziamenti e ricerca di abbonati sono sempre stati vicini ad una delle voci in politica estera più importanti a livello europeo e mondiale (come vedremo); mentre capi-dicastero di impronta liberale (Frattini, Bonino) hanno messo dei paletti a una rivista indipendente di grande spessore internazionale.

G.X.: Ci diceva che «Affari Esteri» è stata fondata ben quarantaquattro anni fa…

G.A.: Sì, essa è organo trimestrale dell’AISPE, e già nella nomenclatura iniziale si è avvalsa di due nomi prestigiosi: Giulio Andreotti, già direttore editoriale ed Achille Albonetti, responsabile sin dal primo numero: uno dei Padri dell’Unione Europea.

G.X.: Può illustrare ai lettori cos’è l’AISPE?

G.A.: È l’Associazione Italiana per gli Studi di Politica Estera. Fu creata nella seconda metà degli anni Sessanta dal gruppo dei massimi interpreti della politica internazionale: Attilio Cattani, Michele Cifarelli, Aldo Garosci, Guido Gonella, Giuseppe Medici, Attilio Piccioni, Pietro Quaroni, Carlo Russo, Enrico Serra, Giovanni Spadolini e Mario Zagari.

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G.X.: Perché era ed è importante «Affari Esteri»?

G.A.: Con la guida di Quaroni – già Ambasciatore a Kabul negli anni Trenta ed a Mosca nel 1944, ed in seguito, Segretario Generale del Ministero degli Esteri, dopo essere stato di sede a Parigi – la rivista si avviava a divenire uno dei maggiori strumenti sulla politica internazionale. «Affari Esteri» iniziò ad avere un’obbligata presenza negli ambienti italiani e non, dove lo studio e l’esame di scenario rappresentano una chiave di lettura fondamentale alla risoluzione di problemi coevi o da venire.

G.X.: Chi ha firmato su «Affari Esteri»?

G.A.: Ad esempio sin dal N. 1 del gennaio 1969 v’è Sergio Romano. Non credo che al mondo ci sia una testata che possa vantare le firme di «Affari Esteri». Ben 912 collaboratori da ogni parte del pianeta, fra Segretari Generali dell’ONU, Capi di Stato, Presidenti di Corte Costituzionale, di Governo, Ministri, Sottosegretari, Ambasciatori, diplomatici, storici, giornalisti. Forse solo «Foreign Affairs», per l’unico motivo di esser nata quarantasette anni prima, può contare una fama superiore.

G.X.: «Affari Esteri» so che è nota pure per la lungimiranza degli interventi.

G.A.: Grazie ad «Affari Esteri» cominciò a rifar capolino il dimenticato concetto di geopolitica, con gli scritti di Turner, Gallois e Laroche, e, finalmente, nell’articolo La geopolitica (1991), l’italiano Fausto Bacchetti illustrava i contenuti di questa allora ‘misteriosa’ parola, rimossa a fine seconda guerra mondiale. Due anni dopo, Lucio Caracciolo, la renderà pane quotidiano creando «Limes».

G.X: Ma perché rischia di chiudere?

G.A.: Immagini Confindustria che neghi i finanziamenti a «Il Sole-24 ore», onore, gloria e voce eccelsa della stampa italiana all’estero? O il Ministero omologo annulli i fondi a «Informazioni della Difesa», organo pubblicistico dello Stato Maggiore, oppure alla «Rivista Marittima» della Marina Militare? Tutti grideremmo allo scandalo! Con «Affari Esteri» siamo nel campo della fantastoria catastrofica. A motivazione risparmio la Farnesina ha negato alcune migliaia di abbonamenti al trimestrale il quale, privo di quegli interventi, non è più in grado di onorare i collaboratori, la segretaria, gli impaginatori e gli stampatori. Per dire: basterebbe che Lor Signori Deputati e Senatori si tassassero di un soldino per far crescere il nostro Paese e lo devolvessero alla rivista. Invece no! Orecchie da mercante. A volte non riesco davvero a capire in che Paese io stia vivendo.

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