Il Potere e la Donna in Shakespeare
Riccardo III, Atto I-Scena II
Il disegno machiavellico dello Stato – preannunciante Westfalia e Osnabrück – laddove intravede per il Principe la concezione del potere, magistralmente in Shakespeare esalta la Donna come specchio di sublimazione e soddisfacimento di se stessa e, solo successivamente, dell’Uomo di Governo. Il corteggiamento del Duca di Gloucester (futuro Riccardo III) a Lady Anna – lungi dall’essere un momento di desiderio carnale – anela invece l’erotismo dell’imperio, la copula archetipa che partorisce il Regno: il figlio – nella visione femminile – ragione sola e bestiale della ventura Regina quale pars unigenita, e – nella concezione autocratica – perpetuatio sui del prossimo Re. Ossia il Vero Amore, non gli immortali deliri onirici di Robert Schumann, oppure le smancerie mass-mediatiche del più becero anglo-americanismo ‘spottizzante’. Rammentiamo le parole di Gloucester nella III Parte dell’Enrico VI (V, vi 81-84):
Non ho fratelli; non ho in me niente d’un fratello; / e quell’amore che i barbagrigi dicono divino, / può andar bene per gli uomini in serie – l’uno val l’altro / ma non per me. Io sono esclusivamente me stesso.
Riccardo di Gloucester, non ancora Re, è accanto al cadavere di Enrico VI, che il gobbo York ha assassinato. Vicina al tragico protagonista è Lady Anna, vedova di Edoardo, figlio del defunto re e ammazzato anch’egli dallo Storpio.
È la più alta scena d’amore che il genio umano abbia mai scritto: la fatuità femminile che si fonde con l’ambizione maschile. L’esaltazione della Donna Ideale sull’ipocrisia dell’ordinarietà mulìebre, con cui la donna normale tenta miseramente di addossare al maschio la conservatoria del piacere, spacciandosi ella per ‘martire’ e agnello sacrificale del sus communis.
Lady Anna, ruolo politicamente scorretto, ma fœmina triumphans la quale giustifica e unisce la propria esistenza con e al regale, per il tramite di un’apparente vanità, in guisa di strumento onde celare la sete di magnificenza. Riccardo, invece, semplicemente uomo: il suo è il diritto a vivere, e non a rassegnarsi alla natura matrigna. La cruda umanità di Riccardo – il quale, essendo deforme, non può ambire alla res publica per il comune senso della morale coeva (ed attuale!) – gustiamola all’espressione dell’immortale replica ad Anna:
Anna “Non c’è belva feroce che non possieda un briciolo di pietà; ma tu, furfante, non conosci legge: né di Dio né degli uomini”
Gloucester “No, non ne conosco; e dunque non sono una belva”
Riccardo non è Homburg, che “sogna la gloria dalla catena d’oro dell’Elettore” (Luigi Lunari) – l’ultimo Plantagenèto è la gloria stessa con le dita che annaspano nel sangue. Lui è la Storia.
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