Alba, apogeo e occaso del campionato di calcio
La giornata conclusiva del campionato di calcio di Serie A c’impone alcune riflessioni su uno dei maggiori fenomeni legati alla società italiana. Anni fa un in un numero di Limes, Sergio Zucchetti definisce il distretto industriale indentificandolo in “un particolare raggruppamento di imprese specializzate in un complesso processo produttivo e strettamente legate al sistema delle relazioni sociali, istituzionali e ambientali instaurate, sedimentate e strutturate, nel tempo e nello spazio, tra gli attori presenti sul territorio e il territorio stesso”2. Non ci sembra azzardato poter applicare le suddette parole ad una sintesi estrema di ciò che il campionato italiano di calcio è stato (ed è) nel suo arco temporale, che abbraccia ormai tre secoli. Si badi bene il campionato, non il calcio italiano. Ossia il torneo tecnico, quale valenza di uno sport visto nella propria accezione imprenditoriale prima, e agonistica dopo. Invece il calcio italiano – nel significato lato del termine – pertiene al costume e all’unità nazionale del nostro Paese: la sua storia è stata trattata da vari autori: alcuni con profondità di studioso (Ghirelli), altri con tocchi di pura letteratura (Saba, Brera), e nel continuum la scuola del giornalismo sportivo irradiatasi ai primordi dalle pagine rosa del quotidiano milanese.
Nella sua periodizzazione datata oltre ventitré lustri (1898-2014) non è mai stata scritta una storia specifica del campionato nazionale, o un accenno economico-politico dei suoi esiti, scansioni che possano legare i 112 campionati disputati ad oggi.
Analizzare, toccare, sfiorare il campionato nazionale non significa discettare su una delle poche istituzioni rimaste intatte mentre esecutivi liberali, monarchici, fascisti, ciellenisti, repubblicani, centristi, di unità nazionale, primo-repubblicani, ulivisti e polisti nascevano e morivano. Vuol dire, invece, lottare contro se stessi in una soggettività dove non contano apparentemente idee politiche o comportamenti etici, scelte di vita o sistemi sociali. Ognuno – dal giornalista allo scrittore – ha sempre temuto il peccato di imparzialità: quello che, comunemente, chiamiamo tifo. Un Brera sapeva bene che le sue passioni e ricordi avrebbero obnubilato l’oggettività dello storico. Il giornalista sente che i lettori non accetterebbero mai il ‘tradimento’ verso la sua/loro squadra. Per cui solo se sfogliamo un almanacco siamo in grado – leggendo cifre, somme di titoli, differenze-reti, spareggi, ecc. – di apprendere l’unica storia ‘permessa’: quella delle statistiche, le rispettabili crittografie che ci riportano al fatto che tutto è là, sta a chi legge carpirne il significato.
Il Sacro Impero Romano-Germanico. I tre nomi di Roma
“[…] la Germania ha mantenuto legami straordinari con Roma mediante l’impero romano-germanico, sicché la storia di questa Roma, che è vanto e gloria eterna della nazione tedesca, è divenuta materia e fondamento della storia stessa della Germania”3. Se diamo un’occhiata agli albi d’oro (liste vincitori) dei campionati nazionali di calcio delle 53 federazioni UEFA più le quattro sciolte e quella associata4, notiamo come Italia e Germania5 siano legate da un filo sottilissimo: gli unici Paesi in cui le capitali hanno conseguito meno titoli sia in numero che percentuale. Non solo. Anche lo stesso numero di scudetti: cinque. Disposti in una singolare frequenza cronologica, prima le tedesche e dopo le italiane: 1902 Union 92, 1908 e 1911 Viktoria, 1930 e 1931 Hertha, seguite dalle capitoline (infra). Che i due più giovani Stati storici d’Europa abbiano un passato comune non ce lo dice solo il Medioevo o i secoli XIX-XX, ma anche la scarsa propensione al centralismo urbe-politico in àmbito calcistico.
Berlino, contrariamente a Roma, è stata penalizzata sia dalla mancanza di una dualità agonistica stracittadina, che dall’isolamento geopolitico cui è stata sottoposta dal 1945 al 1990. Da İstanbul6 (Seconda Roma) a Tirana, da Mosca (Terza Roma) a Londra, da Vienna a Madrid, da Belgrado a Bruxelles, l’egemonia della capitale non rappresenta(va) soltanto il simbolo amministrativo dell’unità nazionale, ma pure – ad Est – l’emanazione politica di Partito-Esercito-Polizia Popolare7 o – ad Ovest – l’influenza economica d’interessi capitalistici.
Ma perché, allora, l’Urbe che è la summa di sacralità, potere, ricchezza e vanità, è calcisticamente in coda alle sorelle europee? La risposta giace nelle sue due nature distinte e pur consustanziali: una municipale e l’altra cosmopolita.
La SS Lazio e l’AS Roma (ordine alfabetico) non inseguono scudetti, stelle, coppe come una qualsiasi società del capitale finanziario (SCF; infra). La loro grandezza le rende nobili poiché esse ricercano il primato nella capitale, appartenendo questa all’orbs e trovandosi ‘accidentalmente’ in Italia.
La stessa storia di queste società n’è prova. Nel 1942 i giallorossi portano il trionfo, trentadue anni dopo i bianco-celesti ‘pareggiano’; nell’83 la Roma li sopravanza, ma nel 2000 (14 maggio) non solo la Lazio li riprende, ma – in virtù della duplice affermazione continentale del 1999 (coppa delle Coppe e supercoppa europea, contrapposte alla coppa delle Fiere romanista del 1961) – le Aquile scavalcano i Lupi, i quali – indomiti – tredici mesi e tre giorni dopo ritornano in testa (17 giugno 2001)… con i Laziali che, però, oppongono ai Romanisti la tripletta conseguita l’8 settembre 2000, che la rese la prima società italiana, assieme poi alla Juventus, ad aver vinto tutto dalla A alla B. Il Napoli s’è aggiudicato in più la C nel 2005-06, ma gli manca la tripletta8.
Fra il totale disinteresse di sorte e fortune altrui, Lazio e Roma dànno vita ad una contesa che si protrarrà nei secoli dei secoli: imperium sine fine dedi (Aen. I, 279).
Ode a Trapattoni1
Proelia non tantum destinato, sed ex occasione sumebat ac saepe ab itinere statim, interdum spurcissimis tempestatibus, cum minime quis moturum putaret; nec nisi tempore extremo ad dimicandum cunctatior factus est, quo saepius uicisset, hoc minus experiendos casus opinans nihilque se tantum adquisiturum uictoria, quantum auferre calamitas posset.
Fine della I parte
Note:
1 Caius Suetonius Tranquillus, De vita Caesarum: Vita Diui Iuli, LX, 1 (traduzione di Alessandro Vigevani ne Le vite dei dodici Cesari, Longanesi, Milano 1971, Vol. I, pp. 94-97; traduzione: non combatteva sempre secondo un piano predeterminato, ma anche scegliendo l’occasione propizia e spesso subito dopo una marcia, e talvolta in condizioni meteorologiche disastrose, quando nessuno avrebbe potuto mai credere che si sarebbe mosso. Solamente negli ultimi tempi divenne più esitante nell’attaccare, pensando che quanto più spesso aveva vinto, tanto meno doveva esporsi ai rischi, e che non avrebbe tanto guadagnato con una vittoria quanto avrebbe perduto con una sconfitta).
2 S. Zucchetti, “Il distretto come strumento geopolitico”, Limes, “L’Arabia americana”, n. 4/2002, p. 241.
3 Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel Medioevo, Roma, Newton Compton, Roma 1972, I, p. 33,
4 Nel campionato sammarinese non esiste una società che rappresenti il territorio della capitale, mentre il San Marino (f. 1960) gioca nel Campionato italiano di Lega Pro I Divisione, Girone A. Le quattro federazioni non più esistenti sono quelle di: Cecoslovacchia, Germania Democratica, Saar ed Unione Sovietica. L’associata è Gibilterra.
5 Per Germania s’intende la continuità fra l’Impero Tedesco, proclamato a Versailles il 18 gennaio 1871, e l’attuale Stato, passando per la Repubblica Federale, ed escludendo la Repubblica Democratica imposta dai Sovietici il 7 ottobre 1949, e disintegratasi il 3 ottobre 1990.
6 İstanbul, pur non capitale attuale, ma città più rappresentativa sul piano storico-epico, già Costantinopoli, già capitale dell’Impero Romano, già capitale dell’Osmanlı Devlet, e poi dello Stato ataturchiano, e posta a cavallo di Eurasia (in una perfetta simmetria la giovane capitale Ankara [dal 1923] non hai mai conquistato uno scudetto). Alla Seconda Roma, i Turchi non le cambiarono nome bensì, appoggiandosi al greco εἱς τὴν πόλιν (eis tèn pólin, “alla città”) lo trasformarono, per assonanza, nell’attuale (cfr. Edward Gibbon, Decadenza e caduta dell’Impero Romano, Avanzini e Torraca, Roma 1968, vol. 3, p. 24).
7 Negli ex Paesi socialisti le squadre dell’Esercito (Ministero della difesa) erano quelle denominate con radice Armata, Partizan(i), ecc.; quelle della Polizia Popolare (Ministero degli interni): Dinamo; quelle dei Sindacati: Spartak(u); mentre il Partito, benignamente, concedeva il suo appoggio una volta all’una e una volta all’altra. Ad oggi le denominazioni, a parte qualche tentativo regolarmente abortito (es.: Olimpik e Croatia tornate poi Dinamo in Albania e Croazia, Sredec di nuovo a CSKA in Bulgaria, ecc.), sono rimaste intatte per rispetto alle tradizioni ed alla memoria storica dei tifosi.
8 Lazio: Serie A (1973-74, 1999-2000), Coppa Italia (1958, 1997-98, 1999-2000, 2003-04, 2008-09, 2012-13), double (1999-2000), tripletta (1999-2000), Supercoppa italiana (1998, 2000, 2009), Serie B (1968-69). La Juventus, oltre a scudetti, Coppe Italia e Supercoppe italiane, ha conseguito il double (1959-60), la tripletta (1994-95), e la Serie B (2006-07). L’Internazionale ha due triplette (2005-06, 2009-10).
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