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Film: le peggiori traduzioni dei titolisti italiani

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Detestato in tutto il territorio italiano, dalla latitudine meridionale estrema fino al nord più profondo, esiste un esemplare – non mitologico – che fa disperare i connazionali quasi quanto l’esattore del Fisco. Si tratta del titolista cinematografico, archetipo dell’insensatezza pura. Fra i cinefili serpeggiano dibattiti decennali sulle folli invenzioni di chi assegna titoli ai film stranieri distribuiti in Italia. Invano, molti appassionati tentano tuttora di dare un volto alla mente sopraffina che ha concepito Se mi lasci ti cancello, banale trovata per il fantascientifico Eternal Sunshine of the Spotless Mind – un’opera del 2004 diretta dal visionario francese Michel Gondry. Interpretato con grande pathos da Jim Carrey e Kate Winslet, il suddetto film ha ottenuto l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale (2005), due premi BAFTA, il Saturn Award dell’Accademia Sci-Fi e numerosi riconoscimenti oltre all’entusiasmo contagioso del pubblico. Stupore e passaparola hanno avuto la meglio sul motto iglesiaseggiante tipo “se mi lasci non vale”, ossia sul titolo scelto per ‘tradurre’ un verso – tratto da Eloisa to Abelard (1717) – del poeta inglese Alexander Pope (1688-1714).
Non è il solo caso. Annoveriamo fra le vittime pure The Time Traveler’s Wife (2009), realizzato dall’omonimo romanzo di fantascienza di Audrey Niffenegger – un successo mondiale – e diretto dal regista tedesco Robert Schwentke. La trama è interamente basata sui viaggi nel tempo, e l’ordinaria prospettiva in cui lo scorrere degli eventi nella lineare vita di Clare (Rachel McAdams) evidenzia l’anomalia: la continua presenza del futuro marito, fin dall’infanzia. Affetto da mutazione genetica che lo costringe a incontrollabili salti temporali, Henry (Eric Bana) affronta un’esperienza in cui vive il paradosso dell’incontro sia con il se stesso più giovane, sia più vecchio. Poiché nulla cambia né può cambiare in un universo governato dalle leggi inesorabili del destino, passato presente e futuro coesistono nello stesso istante. Non c’è libero arbitrio.

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Eppure, in Italia, anziché l’efficace traduzione letterale ‘La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo’, è diventato patetico titolo alla Harmony: Un amore all’improvviso. Quale appassionato del genere FS si sognerebbe mai di vederlo al solo legger il titolo?

L’ecatombe continua: il tanto bistrattato film di fantascienza – ad eccezione di grosse operazioni commerciali hollywoodiane – è il bersaglio prediletto del titolista di casa nostra. Così Lifeforce (Tobe Hooper, 1985) in lingua originale è stato “tradotto” Space Vampires, ad effetto melbrooksiano. Pessimo per un orrorifico lungometraggio in celluloide, nonostante corrisponda al libro The Space Vampires di Colin Wilson (1976). Inoltre, per aggrovigliare la matassa, I vampiri dello spazio è la versione italiana del classico e terrorizzante – per allora – Quatermass 2 (Val Guest, 1957).

In corsia preferenziale viaggiano anche le commedie. L’orrenda mutazione di Elvis Has Left the Building (Joel Swick, 2009) con Kim Basinger e John Corbett è: Se ti investo mi sposi? Una delle massime vette demenziali è stata riservata al bucolico film City Slickers (Ron Underwood, 1991), premio Oscar per il miglior attore non protagonista e Golden Globe a Jack Palance: noi l’abbiamo conosciuto col kitsch e puerile Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche.

Da anni, l’impotenza del traduttore si arrende all’incapacità del predetto di conoscere la ricchezza della nostra lingua, lasciando i titoli originali in lingua inglese. A partire dal presupposto che da noi, tutti conoscano quell’idioma e se l’ignorano s’arrangino pure. Per cui l’eventale spettatore che quel giorno voglia sfogliarsi il giornale per vedere cosa giri nelle sale cinematrografiche cittadine, piuttosto che consultare il vocabolario inglese-italiano (ammesso l’abbia), preferisce accendere la tv.

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Per finire una chicca: traduzione precisa ma di parole inesistenti. E siamo ad inizi anni Cinquanta – quindi il vizio è antico: Abbott and Costello Go to Mars (Charles Lamont, 1953) passa a ‘Viaggio al pianeta Venere’ dei notissimi Gianni e Pinotto a cui cambiano destinazione.


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