Leggi i racconti di Stellarius

Generazione X

Sapere aude

Alba del Grunge: il vuoto e l’urlo della negazione

Condividi:

Un salto indietro nel tempo: nel substrato periferico della città statunitense di Seattle si aggregavano gruppi che avrebbero segnato il panorama sociale e musicale del Novecento, innescando un fenomeno alternativo in netto contrasto con gli elementi di leggerezza, modernizzazione, contro l’immagine plastificata e l’idolatria del denaro caratteristici degli anni Ottanta. Ambientalismo, stile di vita semplice ed aspetto trasandato: valori che richiamavano la cultura hippie e divampavano in polemica con la supremazia inesorabilmente assunta da consumi, marchi e prodotti. L’ultima esperienza musicale dirompente e spontanea del secolo scorso, il cui apice è stato nel 1988-94, era nata nell’isolamento dei meravigliosi scenari naturali dello Stato di Washington, fra il canale marino del Puget Sound, il lago, le montagne. A Seattle, che nella prima metà degli anni Ottanta non era una città artisticamente evoluta né competitiva, c’era ancora spazio per un’ispirazione autentica. Distante dalle metropoli americane e dalle tendenze musicali di massa – la “nuova ondata di Heavy Metal britannico” che dilagava nelle aree urbane di Los Angeles e New York – la scena locale non comprendeva gruppi rock commercialmente appetibili. Quando, nel 1984, l’ingegnere del suono e produttore discografico Chris Hanzsek decise di inaugurare, assieme alla fidanzata Tina Casale, l’etichetta C/Z Records ed un modesto studio di registrazione, non aveva la più pallida idea che tale iniziativa avrebbe innescato – con l’incisione dell’album Deep Six, del 1986 – una profonda scossa sismica nel panorama della musica mondiale.

Il Grunge o “Seattle sound”, era uno stile irriverente e controverso, intriso di verismo, indipendenza e istinto di ribellione: brani degli allora sconosciuti Melvins, Soundgarden, U-Men, Malfunkshun, Skin Yard, e Green River appartengono alla prima, introvabile produzione di Hanzsek a Seattle – fino allora, più che altro nota per aver dato i natali a Jimi Hendrix. Il titolo del 33 giri, Deep Six, era simbolicamente profetico e rendeva omaggio al film di Rudolph Maté del 1958, tradotto in Italia con “Acque profonde”. I medesimi musicisti, ad eccezione dei Nirvana che ancora mancavano all’appello, avrebbero sollevato la coscienza popolare degli anni Novanta. Milioni di giovani decretarono il successo di un movimento musicale innovativo e anticonformista, divulgando le sonorità grunge in modo spontaneo, tramite il passaparola e lo scambio di dischi. Un messaggio di ribellione si era diffuso attraverso nastri magnetici, fino a convogliare moltitudini di esistenze isolate – precursori di un individualismo indotto: singoli drammi vissuti nella solitudine di una stanza, con l’immancabile stereo portatile innalzato come una sorta di altare. I toni cupi, pessimisti e nichilisti, la percezione di un declino socio-culturale inarrestabile e il senso di angoscia esistenziale codificavano il fenomeno in cui si è rispecchiata un’intera generazione. La totale svalutazione dei valori che identifica la generazione X: incognite senza ideali, apatici, indifferenti e dall’aspetto dimesso, additati dai perbenisti come falliti. Al debutto della globalizzazione, nel contesto in cui fiumi di denaro facile erano elargiti dalla Borsa, si profilava una mutazione che avrebbe reso il mondo irriconoscibile. Dagli intrighi delle soap opera come Dallas all’elezione di Cicciolina, agli schiamazzi nei talk show, lo scandalo della corruzione politica, i primi videogiochi e la premessa dell’imminente rivoluzione tecnologica. Nel disincanto del falso senso di benessere andato in frantumi e millantato durante il decennio più illusorio, si disgregavano identità e si accendevano leasing.

“Se nel 1983 Seattle era la città dimenticata dai promoter, Aberdeen era la città dimenticata da Dio. Sita nell’area di Grays Harbor a un centinaio di miglia a sudovest dallo Space Needle, là dove i fiumi Chehalis e Wishkah confluiscono, Aberdeen ha vissuto per un centinaio d’anni grazie all’attività di pescatori e taglialegna, tanto da meritarsi l’appellativo di capitale mondiale del legname. L’attività degli ambientalisti e la riduzione delle quote di legno da costruzione rese disponibili da parte del governo federale hanno minato una delle principali fonti di sussistenza della comunità. Alla nomea di città culturalmente stagnante s’è sovrapposta quella di centro economicamente depresso cui il turismo sta ridando ossigeno: Aberdeen e la città gemella Hoquiam sono infatti le porte per l’Olympic Peninsula, una vasta area naturalistica che comprende l’Olympic National Park e che si estende a nord fino allo stretto di Juan De Fuca che separa gli Stati Uniti dal Canada. Con i suoi 16.000 abitanti, Aberdeen può sembrare una metropoli rispetto alla vicina Montesano. Lì viveva nei primi anni ’80 un tale Melvin, impiegato come commesso nella drogheria di un Thriftway, uno dei centri commerciali che spezzano il vuoto dell’immensa provincia americana. Nello stesso negozio lavorava Buzz Osborne, un tizio con la passione per il punk-rock estremo e una strana capigliatura afro. Con i compagni di scuola Matt Lukin e Mike Dillard, aveva fondato il trio dei Melvins. Il loro rock velocissimo e ispirato tanto all’hardcore, tanto all’heavy metal doveva suonare perlomeno bizzarro – ma molto più probabilmente inascoltabile – ai ragazzi del luogo, non avvezzi a musiche diverse dall’hard rock “pettinato” che usciva dai loro apparecchi radiofonici e che era l’unica musica dura di cui potevano reperire i dischi. Buzz la sapeva più lunga e divenne perciò «il guru punk-rock di Aberdeen», per dirla con le parole del suo fan più celebre, Kurt Cobain”1.

Dal vuoto materiale ed esistenziale si era sprigionato l’urlo sofferto, autodistruttivo e stonato del Grunge, un’espressione di disagio e al tempo stesso di rifiuto verso un mondo indesiderato ma imposto, non condiviso anzi disprezzato – ovvero, nei confronti della neonata società consumistica, indubbiamente raffigurata nella celebre e provocatoria copertina dell’album Nevermind: il neonato immerso sott’acqua con l’esca del dollaro attaccata alla lenza, una scena su cui si staglia, beffarda, la scritta ambivalente “Nirvana”. Sintesi di mistificazione e inganno che imponeva la reazione estrema di rigetto, decretando la fine dello spirito adolescenziale (Smells like teen spirit), della spensieratezza dissoltasi nella decadenza di fine millennio.

Leggi anche:  L’ascesa di Tomoko Nagao, interprete del consumismo kawaii
Note:
1 Claudio Tedesco, Grunge, il rock dalle strade di Seattle, Tsunami Edizioni 2011, Milano, pag. 47.

Iscriviti al gruppo dei sostenitori per accedere ai contenuti extra

Leggi anche:  La Woodstock mancata dei penfriend

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.