Shinzon di Remus: l’impulso autodistruttivo della natura umana
“Ti mostrerò qual è la mia vera natura, la nostra natura. E quando la Terra morirà, ricorda che io sarò per sempre Shinzon di Remus… e la mia voce risuonerà per lungo tempo a venire, quando della tua non resterà che una debole memoria”. Sono le minacciose parole con cui si congeda dal Comandante Jean-Luc Picard il suo stesso doppio, il giovane Shinzon – apparso come ologramma a bordo dell’Enterprise. La decima pellicola di Star Trek, Nemesis (2002), diretta da Stuart Baird, ha offerto a tutti gli appassionati una riflessione sulla reale natura del genere umano. Il Pretore Shinzon, clonato dal DNA di Picard allo scopo di sostituire, ad opera dei romulani, il Capitano per introdursi nella Federazione dei pianeti uniti, è la personificazione di una moltitudine di impulsi riconducibili al cosiddetto ‘lato oscuro’ dell’umanità. Sentimenti e moti dell’animo che convivono, allo stato germinale, nel profondo di ciascun individuo – perfino nell’uomo più morale e idealista, come Jean-Luc Picard. Vendetta e rabbia, odio, brama di rivalsa e crudeltà determinata: come possono tali slanci devastanti aver preso il sopravvento nell’animo dell’esile clone, identico a Picard per aspetto e potenzialità? “Sono ciò che la vita ha fatto di me”, afferma il Pretore giunto al potere compiendo lo sterminio dell’intero Senato romulano. Una vita di abusi e privazioni, separato dal resto della specie umana e spedito a morire nelle miniere di dilitio, sul tenebroso pianeta Remus: è là che il latente sviluppo delle virtù più elevate di Shinzon si è estinto? Sotto i colpi di frusta di una razza aliena, nell’oscurità di un pianeta dimenticato, ove la sola ragione di sopravvivenza era l’aspirazione di una futura ritorsione contro gli oppressori e i propri simili – in primis, il Capitano Picard, colui del quale il ragazzo è l’esatta copia. Il potenziale inespresso di Shinzon e materializzato in Jean-Luc, è l’aspetto speculare della medesima natura. Condizioni angoscianti e circostanze disumane possono trasformare un uomo nel crudele alter ego di sé? “Scegli il giusto, sei ancora in tempo per farlo”, l’invito risolutivo del Capitano è la chiave di lettura dell’intera questione. Ciò che contraddistingue la natura umana è la libera scelta del fine delle proprie azioni, e tale scelta si basa sulla singola volontà, indipendentemente dal percorso passato, dalle circostanze contingenti e dalle vicissitudini individuali.
La fondamentale differenza fra Shinzon e il Capitano è la determinazione distruttiva, scelta e perseguita dal primo, contro l’opposta finalità di Picard che corrisponde all’intento di migliorare se stesso. Shinzon avrebbe potuto ancora compiere una scelta differente, nonostante il vissuto tormentato e intriso di ingiustizia dell’innocente fanciullo, esiliato sull’infernale mondo di tenebre e strazio, generato tramite la clonazione allo scopo di compiere un putsh interstellare e – in seguito – condannato a perire per l’alternanza al potere e l’inutilità ai nuovi scopi politici romulani. E malgrado il rancore, l’astio e il morbo genetico che lo affligge (parte del patrimonio genetico è rimasto inattivo, a causa del fallimento della missione per cui era stato creato), ogni momento della vita può essere il punto di svolta, nel bene e nel male. Un solo istante che è in grado di cambiare il valore di un’intera esistenza.
Shinzon (ologramma): “Non potrai individuare i miei emettitori olografici, non ti affannare… e non potrai contattare la flotta stellare. Ora siamo solo noi due, Jean-Luc: come dovrebbe essere.”
Picard: “Perché sei venuto qui?”
Shinzon: “Per accettare la tua resa… è ovvio che posso distruggerti in qualunque momento. Abbassa gli scudi e consentimi di teletrasportarti sulla mia nave.”
Picard: “E l’Enterprise?”
Shinzon: “Ho uno scarso interesse per la tua eccentrica nave, Capitano.”
Picard: “Guardami, Shinzon. Le tue mani, il tuo cuore, i tuoi occhi… sono uguali ai miei. Il sangue che ti scorre nelle vene, la tua materia grezza è uguale alla mia. Abbiamo lo stesso potenziale.”
Shinzon: “Quello è il passato, Capitano…”
Picard: “… ma può essere il futuro. Nel profondo di te stesso, sepolto sotto anni di rabbia e sofferenza, c’è qualcosa che non è mai stato alimentato: il potenziale per fare di te un uomo migliore. È questo che caratterizza gli esseri umani, la capacità di migliorare se stessi… Oh sì. Io ti conosco, ricordo di un tempo in cui guardavi le stelle, cercando di immaginare il domani.”
Shinzon: “Sogni di bambino, Capitano… perduti nelle miniere di dilitio di Remus. Io sono quello che vedi ora.”
Picard: “Io vedo qualcosa di più, vedo quello che potresti essere. L’uomo che è Shinzon di Remus e anche Jean-Luc Picard non riuscirebbe mai a sterminare la popolazione di un intero pianeta, perché è un uomo migliore.”
Shinzon: “Sono ciò che la vita ha fatto di me…”
Picard: “E tu cosa ne farai di quella vita? La distruggerai in un impeto d’odio? Esiste un mondo migliore.”
Shinzon: “Un mondo falso…”
Picard: “Non è vero, non è vero… scegli il giusto, sei ancora in tempo per farlo.”
Shinzon: “Non posso combattere ciò che sono.”
Picard: “Invece sì che puoi!”
L’ologramma di Shinzon scompare. Immediatamente dopo aver pronunciato le parole che confermano la propria volontà di annientamento, il Pretore si avvia verso una metamorfosi ormai inarrestabile che lo condurrà alla sfida estrema e, in maniera inevitabile, sfocerà nell’autodistruzione. Rinunciare alla possibilità di evolversi, infatti, non può significare altro che andare incontro alla rovina.
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