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Computer Art e social network: un’arma a doppio taglio

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Il furto di opere d’arte nell’era digitale sta conoscendo un nuovo sviluppo, agevolato dalla diffusione – attraverso i canali sociali – di una mole d’immagini artistiche ed opere fotografiche mai avvenuta prima ad una simile rapidità, né con una paragonabile facilità di fruizione per chiunque. Se, da un lato, il supporto del computer ha permesso lo sviluppo di una nuova forma artistica, ossia la creazione di complesse elaborazioni con strumenti tecnologici che gli autori hanno a disposizione – programmi di fotoritocco, animazione e grafica vettoriale –, un aspetto che sta assumendo connotazioni via via più negative è l’impiego dei social network per la divulgazione delle medesime opere. Ciò avviene nel caso in cui l’opera d’arte in questione consista in un’immagine digitale (un file grafico), ovvero non sia la riproduzione fotografica di sculture, stampe o dipinti, bensì un pezzo della ‘Computer Art’ di cui Andy Warhol è stato un precursore. Le piattaforme sociali diventano un’arma a doppio taglio: permettono all’artista di esporre i propri lavori agli occhi di un pubblico molto vasto, conoscendo una rapida notorietà che può esponenzialmente aumentare, ma allo stesso tempo esponendo se stesso al rischio di esserne derubato, oltre ad autorizzarne in modo indiretto lo sfruttamento da parte di terzi.

Non è raro venire a conoscenza di casi in cui i falsari dell’era digitale si appropriano dell’immagine ad alta definizione di un’opera digitale, riproducendola su supporti cartacei o pannelli di vari materiali per poi metterla in commercio all’insaputa dell’artista. Ancora più estesa è l’abitudine di prelevare composizioni artistiche altrui per pubblicarle altrove, sempre nell’ambito della Rete, senza riferimenti alla fonte. Si tratta spesso di un vero e proprio sfruttamento dell’opera d’arte ai danni dell’autore, il quale sarà costretto a rivendicare e dimostrare – qualora ne venga a conoscenza – la paternità dell’opera. Purtroppo, bisogna sottolineare che la pubblicazione in Rete del file dell’opera digitale non protetta da copyright equivale sia ad una svalutazione economica, sia alla rinuncia dei propri diritti sulla stessa, rendendola equiparabile ad una open source.

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È come se Leonardo, a quel tempo, avesse prodotto mille originali della Gioconda e poi spediti ai musei o collezioni private del mondo in attesa poi lo pagassero.

Ormai, in un contesto digitale inflazionato dall’elevata diffusione di immagini digitali artistiche, l’unica speranza di acquisire valore per la Computer Art sarebbe indirizzarsi verso l’esclusiva materialità dell’opera, creata per mezzo di supporti digitali – i quali dovrebbero essere custoditi come matrice e mai divulgati – ma esposta al pubblico soltanto dopo aver assunto una propria forma tangibile e definitiva, ossia tradotta nella realtà tridimensionale. Sarebbe necessaria una consapevole scelta tra l’effimero ed il permanente.

Nota: Nell’immagine, un’opera di Antonio Mora.
Flora Liliana Menicocci

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