La Costa d’Avorio dopo il conflitto: insécurité, impunité, disegalité
C’è speranza fra gli ivoriani nel buon esito del processo di riconciliazione in corso nello Stato dell’Africa occidentale – ex colonia francese indipendente dal 1960 – che nell’autunno 2010 era precipitato nell’ennesima crisi militare post-elettorale dalle conseguenze tragiche e rovinose. È quanto emerge dal rapporto pubblicato all’inizio di gennaio dalla Commissione dialogo, verità e riconciliazione1 (Cdvr) guidata da Charles Konan Banny, ex primo ministro della Costa d’Avorio. Nonostante i gravi problemi in cui versa il Paese – instabilità, corruzione politica, iniqua distribuzione dei beni, carovita, censura e diritti umani calpestati – la stragrande maggioranza della popolazione (83%) crede sia possibile instaurare una coesione sociale durevole. Al contempo, il gruppo finanziario della Banca africana di sviluppo (Afdb) – istituzione multilaterale formata da 77 Paesi fra Africa, America, Asia ed Europa – ha annunciato l’imminente ritorno nella storica sede della capitale Abidjan, ove fu fondato nel 1964. Un segnale che accresce le aspettative di ripresa economica. Dall’esplosione di una grave rivolta (dodici anni fa) nella terra del cacao, difatti, la sede dell’Afdb era stata trasferita a Tunisi. Tuttavia, occorre precisare che nel corso del 2013 la realtà tangibile nella Repubblica della Costa d’Avorio (RCA) si è contraddistinta per la continua insicurezza, come evidenziato dal resoconto di Amnesty International2: a giugno, in seguito ai violenti scontri verificati nei villaggi occidentali – tra Taï e Nigré – circa 13mila persone si erano assommate al totale di oltre 160mila ivoriani sfollati. Di quest’ultimi, più di un terzo si stima abbia trovato rifugio nella confinante, ad ovest, Liberia. Gli abusi commessi dall’esercito – Forces républicaines de Côte d’Ivoire (Frci) – si sono perpetrati nonostante la creazione di un apposito corpo di polizia militare per porvi fine: detenzioni arbitrarie e torture anche letali contro i sospettati di complotti politici o di attacchi armati sono seguitate nell’assoluta impunità. Ai sostenitori reali o presunti di Laurent Koudou Gbagbo (n. 1945), fondatore del Front populaire ivoirien (Fpi) nonché predecessore del presidente in carica Alassane Dramane Ouattara (n. 1942), è riservato un trattamento “esclusivo”: percosse, sevizie con gocce di plastica fusa, sparizioni forzate e uccisioni extragiudiziali.
Al contrario, i collaboratori militari – ex membri delle Forces nouvelles, coalizione formata nel dicembre 2002 – o civili del presidente Ouattara, seppur responsabili di gravi violazioni dei diritti umani non hanno mai reso conto dei loro crimini dinanzi alla giustizia. Il clima d’illegalità e abuso in cui permane lo Stato della Costa d’Avorio non è un sintomo da sottovalutare: fra i fondamentali moventi della crisi, quello del conflitto interetnico è stato (oltre al regime elettorale ed alle clausole di eleggibilità del presidente) scatenante. Per comprenderne il motivo, bisogna risalire alla formazione dello Stato indipendente.
Félix Houphouët-Boigny (1905-1993), pater patriae e primo presidente ivoriano – in carica dal 3 novembre 1960 ad vitam – fondò la democratizzazione del Paese sul mito etnocentrico dell’Ivoirité. La borghesia indigena, élite dominante fedele alla sua persona, nonché al Parti democratique de Côte d’Ivoire (Pdci), era rappresentata dagli Akan – un gruppo etnico che include disparate popolazioni3. In special modo, la casta privilegiata erano i Baulé: dalla partecipazione al potere furono deliberatamente escluse le genti di lingua Diuola (originari in maggior parte del Burkina Faso) e i Bété, ivoriani d’origine – seppure di fede islamica. Nascita da genitori indigeni e residenza da almeno cinque anni in Costa d’Avorio erano i prerequisiti per il Capo di Stato – oltreché per il diritto al possesso della terra. Una “nuova” politica di sviluppo monopolistico in stile pre-coloniale.
Masse d’immigrati dai paesi limitrofi raggiunsero il Paese negli anni ‘60-’70, attratti dai notevoli successi in campo economico che la nazione stava riscuotendo: tale fenomeno provocò i primi malcontenti popolari e tensioni. L’opposizione al potere incontrastato di Houphouët-Boigny si materializzò nel 1990, anno in cui furono istituite le prime elezioni multipartitiche: Parti ivorien de travailleurs (Pit) di Francis Wodié, Parti socialiste ivorien (Psi) di Bamba Moriféré e Front populaire ivorien (Fpi) di Laurent Gbagbo, formazione a carattere prettamente etnico e territoriale (regioni centro-sud-occidentali), si proposero quali antagonisti al Pdci – che, in ogni caso, si riconfermò con larga maggioranza sul principale avversario (Gbagbo). Nel mentre, il crollo del prezzo del caffè e del cacao – di cui la RCA è tuttora fra i primi esportatori mondiali – e la conseguente crisi economica gettarono la regione nel baratro del debito pubblico.
Alla morte del patriarca ivoriano, dallo scisma interno al Parti democratique de Côte d’Ivoire nacque il Rassemblement des républicains (Rdr) guidato da Ouattara, un esponente Dioula (di probabile origine burkinabè, per questo ineleggibile in base al criterio houphouëtista) e nuovo oppositore, assieme al Front populaire ivorien, dell’ex partito unico ivoriano. La rivalsa etnica aveva inizio.
Tra golpe militari, brogli e sommosse contro la discriminante razziale dell’Ivoirité, nel 2000 Laurent Gbagbo – di etnia Bété – si autoproclamò, in un clima sociale e politico arroventato, presidente della Seconda Repubblica. Ne conseguì un’ondata di violenze che sfociò nella guerra civile. Per iniziativa di Gbagbo, la Francia fu invitata come forza alleata dell’esecutivo contro i ribelli del Mouvement patriotique deCôte d’Ivoire (Mpci) che avevano preso il controllo del nord: nel 2002 fu lanciata l’operazione Licorne su mandato dell’Onu. Sul suolo ivoriano furono inviati 4mila soldati francesi e 6500 caschi blu.
In seguito, il medesimo leader del Front populaire ivorien denunciò il dirottamento del processo di riconciliazione in favore di una politica neo-imperialista patrocinata da Parigi, con la complicità del presidente del Burkina Faso – Blaise Compaoré – e di Ouattara quale finanziatore della rivolta. Alle presidenziali del 2010, quest’ultimo fu eletto con il 54,1% delle preferenze – e, in seguito all’arresto di Laurent Koudou Gbagbo (che si rifiutava di cedere il passo), nel maggio successivo fu investito a Capo dello Stato.
Il leader del Fpi è stato invece trasferito in Olanda dalle forze speciali delle Nazioni unite: si trova ora detenuto in una prigione della Corte penale internazionale, in attesa di processo per crimini contro l’umanità.
Note:
1 Commissione dialogo, verità e riconciliazione (Cdvr) per la ricostruzione della società ivoriana.
2 Amnesty International, Rapporto 2013: Africa subsahariana, Costa d’Avorio.
3 Gli Akan sono un gruppo etnico dell’Africa Occidentale di cui fanno parte i Voltaici originari dell’odierno Burkina Faso, i Mandé e le tribù dei Kru (tra cui i Bété), oltre a diversi sottogruppi Akan (Agni, Alladian, Abron, Baulé, Avikam). Tali popolazioni sono molto diffuse in Costa d’Avorio e nel Ghana.
- L’Occhio di Lavyne: alla ricerca di sé negli spazi siderali - 11/12/2023
- “Tempesta di Sabbia su Marte – Oltre i confini dell’ignoto” - 24/07/2023
- I Racconti di Stellarius: “Simbiosi d’Ombra” - 21/06/2023