“Mare Nostrum” e l’interminabile odissea dei popoli africani
Continua l’esodo senza tregua di profughi (in gran parte eritrei, somali, siriani, afgani, maliani, egiziani e nigeriani) in fuga da conflitti, carestie e crisi umanitarie. Nel 2013 sono sbarcati in Italia circa 43mila migranti – oltre il triplo dell’ondata registrata l’anno precedente. Molti di loro – tre su quattro, secondo il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) – hanno diritto a protezione internazionale. Il 2014 si è inaugurato, nel solo mese di gennaio, con l’arrivo di duemila nuovi clandestini: un numero decuplicato rispetto alla stessa mensilità dell’anno scorso. Al largo delle coste di Lampedusa, tra il 5-6 febbraio la Marina militare ha tratto in salvo più di mille persone provenienti dal Nordafrica e dalla fascia subsahariana del continente: giovani, donne e bambini soccorsi e trasferiti al porto di Augusta dalla San Marco. Assieme alle fregate Zeffiro, Maestrale, Aliseo (dal 21 gennaio) ed Euro (dal 26), la corvetta Chimera e il pattugliatore Libra, la suddetta nave d’assalto anfibio – al comando del Contrammiraglio Giuseppe Rando – è parte del dispositivo aeronavale impegnato dal 18 ottobre nell’operazione Mare Nostrum. Personale e mezzi per il controllo del flusso migratorio nel Canale di Sicilia sono stati messi a disposizione anche da Guardia costiera, Guardia di Finanza, Aeronautica, Esercito e Carabinieri: l’onere finanziario complessivo dell’iniziativa, ripartito fra i bilanci di ciascun ministero, è stato stimato sui 10 milioni al mese1. Un dato non trascurabile.
Naufraghi strappati al mare, imbarcazioni alla deriva e viaggi allucinanti. Sfidano le acque del Mediterraneo per mezzo di gommoni e battelli fatiscenti che galleggiano a malapena. Spesso, quando recuperati sono già immersi da molte ore – caduti o costretti a gettarsi fuori bordo nella speranza di raggiungere a nuoto il nostro Paese. Da decenni, gli abitanti della principale isola delle Pelagie assistono allo stillicidio e al sacrificio delle migliaia – circa 20mila in tutto, dal 19882 e più di 7mila nel Canale di Sicilia dal ’94 – di morti annegati durante l’insidiosa traversata. Va ricordato che i migranti africani che s’avventurano in Europa sono soltanto una piccola percentuale: la stragrande maggioranza di loro – provenienti soprattutto dal Corno d’Africa e dalla regione dei Grandi laghi che alimentano Nilo bianco e fiume Congo – sono sfollati interni, e vivono nei campi profughi. Altri, invece, preferiscono dirigersi verso i paesi del Maghreb.
Raggiungere da clandestini il Mediterraneo, infatti, significa dover superare un ostacolo impressionante: il Sahara, ossia il più vasto deserto della Terra.
Esistono due vie per affrontare l’immenso gigante di sabbia (erg), ghiaia (serir) e rocce acuminate (ḥammāda). Dall’Africa centro-occidentale bisogna raggiungere – passando per il Mali – l’Algeria; oppure, destinazione Libia tramite il Niger, in auto o sui cammelli fra valli disseccate e uidian (fiumi fossili) che si diramano lungo l’intera superficie sahariana. Dal Corno d’Africa la rotta inizia, in camion o jeep, attraversando la Repubblica del Sudan fino alla Libia o l’Egitto – e dall’Egitto prosegue attraverso il Sinai per poi entrare nello Stato d’Israele.
Una volta scampati ai pericoli del deserto e viste per la prima volta le sponde mediterranee, il lunghissimo viaggio degli esuli non è ancora terminato. Disperati e in fuga da guerre e carestie, dopo aver sborsato circa mille dollari per affrontare raffiche di venti caldissimi e temperature oscillanti fra i 50°C diurni e i 20-25° notturni, per rischiare la vita a bordo di un barcone devono pagarne altri 700-800 (a persona). Sempre che, lungo il tragitto, abbiano avuto la buona sorte di non essere rapinati. O uccisi.
È solo a tal punto che possono tentare di spingersi verso Lampedusa, Pantelleria, Sardegna, Sicilia, Malta, Isole Baleari e Andalusia (oppure fermarsi a Ceuta e Melilla, Plazas mayores de soberanía spagnole circondate da territorio marocchino e Mediterraneo).
A Lampedusa, i più fortunati “hanno trovato soccorritori, medici, volontari e comuni cittadini che li hanno accolti in nome della pace… che più e più volte hanno mostrato la propria ospitalità e il proprio coraggio. In diversi casi gli abitanti dell’isola hanno contribuito a salvare profughi che stavano annegando, mettendo a rischio la propria vita… In seguito diversi di loro hanno accusato problemi psicologici per aver visto così tante persone annegare mentre, con risorse limitate, mettevano in salvo quanti potevano”. È ciò che afferma la scrittrice norvegese Elisabeth Eide nella lettera3 di candidatura al Premio Nobel per la Pace della piccola isola mediterranea, più vicina alla costa della Tunisia che all’Italia: un portale d’accesso per l’Europa.
Nel mentre il premier in carica Enrico Letta ed il presidente del Senato Piero Grasso promuovono la candidatura – esponendo, agli occhi di Bruxelles, la contraddizione normativa sul divieto d’ingresso ai profughi in alcuni Stati dell’Ue – al prestigioso riconoscimento, non sono ancora ben chiari gli obiettivi della missione Mare Nostrum, definita da Alfano “militare e umanitaria”. Continuerà come soccorso in mare, oppure – viste le dimensioni e l’equipaggiamento militare del dispositivo – è destinata anche al respingimento dei trafficanti di esseri umani? Al momento, non sono state rese note le regole d’ingaggio impiegate contro gli scafisti e le loro imbarcazioni. Una cosa è certa: il grande esodo dei disperati non si fermerà.
Note:
1 Gianandrea Gaiani, L’operazione “Mare Nostrum” costerà dieci milioni al mese, Il Sole 24 ore, 15 ottobre 2013.
2 Gabriele Del Grande, La fortezza, Fortress Europe blog.
3 Elisabeth Eide, Nominasjons til Nobel Friedspris 2014, L’Espresso, 30 gennaio 2014.
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