Jackson Pollock, un monopolio USA
Come riuscì Jackson Pollock (1912-1956), celebre artista statunitense fra i maggiori esponenti dell’Espressionismo astratto, a riscuotere un successo talmente vasto da impattare sulla cultura d’Oltreoceano fino a innalzare New York al vertice dell’universo artistico post-II Guerra mondiale? Un indiscusso talento non è sufficiente senza essere l’uomo giusto, al momento giusto e nel luogo giusto. E inconsapevolmente Pollock, assieme al gruppo del Greenwich Village, lo è stato. La sincronicità degli eventi e il panorama in cui emersero non vanno a discapito dell’originalità del pittore, né della profondità di un’epressione artistica che è scaturita nelle tecniche del tutto anti-convenzionali: non si potrà mai negare la nascita della pittura gestuale come rappresentazione dei moti inconsci dell’animo – una spontaneità che fu l’antitesi del Realismo socialista. Nessun netto contenuto ideologico, bensì caos e intrecci irrazionali di linee, spruzzi di colore e macchie ottenute dalla sgocciolatura di barattoli e pennelli induriti su grandi tele poste sul pavimento. Una tecnica (il dripping) alla base della action painting, pittura d’azione che segnò il completo distacco dall’arte figurativa tradizionale e coinvolse addirittura il corpo intero dell’artista. Il fotografo Hans Namut lo ritrasse nel 1950: “Una tela ancora coperta di colore fresco occupava tutto il pavimento. Il silenzio era assoluto. Pollock guardò il quadro, quindi, all’improvviso, prese un barattolo di colore e un pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro stesso. I suoi movimenti, lenti all’inizio, diventarono via via più veloci e simili a una danza mentre gettava sulla tela i colori. Sembrava non sentire minimamente gli scatti della macchina fotografica. Il mio servizio continuò per tutto il tempo in cui lui dipinse, forse una mezz’ora. In tutto quel tempo Pollock non si fermò mai. Come può una persona mantenere un ritmo così frenetico? Alla fine disse semplicemente: ‘È finito’”. Perciò si è detto che Pollock abbia “danzato” splendidi dipinti, una danza estatica come proiezione diretta dell’inconscio, nella desertificazione artistica e morale negli Stati Uniti degli Anni Quaranta. Era la ricerca soggettiva di un universo interiore: una ribellione all’assenza di valori spirituali e creativi in risposta al vuoto, alla disperazione.
Tutto ciò è emozionante, sebbene non sia finita qui. Forze meno incorporee e molto più materialiste hanno spinto Jackson Pollock e gli “Irascibili” – come furono denominati gli esponenti del movimento espressionista-astratto: Willem de Kooning, Adolph Gottlieb, Hedda Sterne, Ad Reinhardt, Richard Pousette-Dart, Clyfford Still, Bradley Walker Tomlin, Robert Motherwell, William Baziotes, Barnett Newman, Jimmy Ernst, Theodore Stamos, James Brooks e Mark Rothko – in cima alla scena mondiale. Per mezzo di questi artisti, New York riuscì a sostituirsi a Parigi come capitale dell’arte e principale riferimento della cultura estetica occidentale: entrarono in gioco interessi politici, ideologici e strategici che non avevano nulla a che fare con la pura spinta creativa degli artisti.
Gli Stati Uniti d’America e i Paesi della Nato si contrapposero al blocco comunista dell’Unione Sovietica e ai Paesi del Patto di Varsavia innescando una sorta di Guerra fredda a colpi di pennellate. A disposizione della Cia, istituita ufficialmente dal National Security Act – firmato dal presidente Harry Truman il 26 luglio 1947 – ampio spazio di manovra sulla stampa: centinaia di organi d’informazione manovrati attraverso la nuova Divisione Propaganda Assets Inventory. E nell’industria cinematografica, con la International Organisations Division capeggiata da Tom Braden, dal 1950 l’Agenzia di spionaggio statunitense finanziò anche la diffusione – in versione animata – de ‘La Fattoria degli animali’ di George Orwell, oltre a moltiplicare le infiltrazioni nell’editoria, nel campo musicale ed artistico. Lo confermò nel 1995 l’ex agente Donald Jameson: “(…) L’Espressionismo astratto era il tipo di arte che faceva apparire il Realismo socialista ancora più schematico, rigido e limitato di quanto non fosse. E questo genere di paragone è stato sfruttato apertamente in alcune nostre esposizioni. In un certo senso, la nostra strategia fu facilitata perché Mosca, in quei giorni, era molto feroce nel denunciare ogni tipo di non-conformità ai propri schemi”1. Utilizzando una tattica nota come “guinzaglio lungo”, ossia manovrando all’insaputa degli stessi artisti, la Cia negli Anni Cinquanta promosse svariate mostre in Europa – la principale fu l’itinerante The New American Painting, allestita a Parigi e in altre città nel 1958 – diffondendo l’Espressionismo astratto col supporto economico di multimilionari come il banchiere Nelson Rockefeller, finanziatore del Museum of Modern Art (MoMA), e Julius “Junkie” Fleischmann. Quest’ultimo, un facoltoso industriale residente nell’esclusiva cittadina di Indian Hill, vantava un eccezionale ruolo di mecenate americano della cultura: fra l’altro, Fleischmann era direttore dell’Opera del Metropolitan e della Foundation Ballet di New York, produttore di Broadway, membro della Royal Society of Arts di Londra, nonché direttore dei Ballets Russes di Diaghilev a Montecarlo.
All’epoca, la propaganda artistica statunitense aveva raggiunto livelli tali che perfino la collezionista Peggy Guggenheim – la stessa che, dal ’43 al ’48, aveva esposto opere di Pollock nella propria galleria – ne rimase colpita. Il magnate dell’industria mineraria August Heckscher, durante il suo discorso per il XXV anniversario del MoMA, divulgava un pensiero fuorviante: “Dove prevale la tirannia, che sia fascismo o comunismo, l’arte moderta viene distrutta ed esiliata”. Come se la medesima situazione non si verificasse, capovolta, anche negli Usa: non solo gli artisti europei ma anche i pittori statunitensi che non abbracciarono l’ideologia della Scuola di New York furono destinati all’oblio. Perfino Ad Reinhardt, il solo espressionista astratto a non abbandonare le istanze di sinistra, fu totalmente ignorato fino agli Anni Sessanta: nel mentre, gli altri “Irascibili” posavano sulla rivista Vogue, ormai nell’atteggiamento sempre più simili ad avidi agenti di Borsa. Scrive Frances Stonor Saunders: “È difficile sostenere che gli espressionisti astratti semplicemente ‘si trovarono a dipingere durante la guerra fredda e non per la guerra fredda. Le affermazioni stesse dei suoi esponenti e , in qualche caso, le loro affiliazioni politiche smentiscono le asserzioni di disimpegno ideologico del movimento. Tuttavia, l’espressionismo astratto, come il jazz, era (è) un fenomeno creativo e la sua esistenza, e perfino il suo successo, ebbero luogo a prescindere dall’uso politico che se ne fece”2.
Lo stile che alla nascita rappresentò una forma di libertà divenne – paradossalmente – schematico, una formula accademica, quasi un dogma. Opere d’arte nate come immediato gesto d’opposizione al materialismo borghese furono acquistate a prezzi folli. Giganteschi e costosissimi quadri, alcuni ai limiti del kitsch, iniziarono a decorare i saloni d’ingresso delle banche americane, degli aeroporti, dei municipi (come tuttora si può osservare).
Note:
1 Frances Stonor Saunders, Modern art was CIA ‘weapon’, The Independent, 22 ottobre 1995.
2 Frances Stonor Saunders, La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti, Fazi, Roma 2004, pag. 249. (Edizione originale: Londra 1999).
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“Sono stupefatto che dei poster decorativi fatti senza un minimo di cervello abbiano potuto conquistare un posto nella storia dell’arte al fianco di Giotto, Tiziano e Velázquez”
(Craig BrownIl)
“Questa non è arte, è uno scherzo di cattivo gusto.”
(Reynolds News)