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Psicopatologia del politico II

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Anamnesi

Nelle ventitré Legislature del Regno, poi la Costituente e nelle prime undici della Repubblica, non si è mai assistito ad uno stato di profondo avvilimento del ceto politico del Paese. Dal 1994 in qua, accanto a persone perbene, una pletora multicolore di ex galoppini di sezione, affaristi, rappresentanti senza scrupoli di professioni varie, riciclati della più bassa lega, venditori di promesse, ritardati, porta voci e borse, pre- e post-inquisiti, arrivisti, profittatori, ignoranti, opportunisti (non in senso m-l), signore simpatiche, si sono succeduti o posti in pianta stabile a decidere formalmente a nostro nome, sia in Parlamento – per non dire di quello europeo – che alle Regioni e nei Consigli Comunali. E lasciamo perdere il recente scandalo delle false cure parlamentari1. Facciamo salvi le/i molte/i deputate/i e senatrici/-ori, la cui moralità è al di sopra degli schieramenti o differente dall’ideologia di ognuno. Vi sono uomini politici anche di un trapassato remoto, ancora attivi e integri, e ne va dato atto. Come modesto studioso di storia europea non ho mai prestato orecchio all’autogiustificante luogo comune che le/i deputate/i dal/del popolo siano un’immagine dei cittadini che li eleggono. Bastino due esempi, fra i tantissimi.
Le Assemblee francesi (1789-95) di gran lunga più preparate dei propri elettori attivi, e maggiormente determinate ad un mutamento strutturale della società e dell’economia.

Per secondo modello l’anzidetto periodo italiano. Per centotrentun anni abbiamo avuto delegati, in stragrandissima maggioranza degni di ammirazione e rispetto per la loro competenza e onestà. Gente vicina alle masse ed espressione delle stesse. Mi limito solo a ricordare un italiano Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che viveva in un condominio romano; un eminente del tempo che tenne il nostro Paese in equilibrio nel Mediterraneo riportandolo alla ribalta internazionale dagli anni Quaranta, e contribuì anche alla risoluzione della crisi dei missili a Cuba2. Nel 1985 lo incontrai, trovandomi in una città toscana. Gli chiesi: “Signor Presidente, come mai Lei – fra i più illustri uomini politici nella storia d’Italia – non è stato eletto a capo dello Stato italiano?”. Mi rispose nell’unico modo possibile: “Armillotta, credo che la massima carica per un politico sia lo scranno all’ONU”.

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In seguito abbiamo avuto degli 1/n che si sono distinti fra loro per i decametri quadri della piscina di casa, o in ragione dei milioni di euro in più o in meno delle rispettive dimore principesche, curate da servitù extracomunitaria.

Non sta a me capire e resocontare il perché siamo arrivati a tal punto. Le liste predeterminate dalle segreterie sono una scusa labilissima e risalente no di certo al 1994. Un primo passo per comprendere sarebbe spiegarsi la facilità con cui i partiti abbiano osato tanto a nostro spregio: noi, semplici schede da usare e buttar via in guisa di carta igienica.

Quando un politico esula dalla propria funzione specifica, assegnatagli da una fonte del diritto, ed assume attitudini devianti da inquadrarsi prettamente nel campo dei disturbi della personalità e perversioni di ruolo – è mansione della psichiatria (e mi rivolgo innanzitutto al Prof. Ždanov) trovare le cause non per porre riparo al malato, bensì al corpo sano che l’essere patologico ammorba.

Note:
1 False cure parlamentari,si indaga truffa (18 ottobre 2013).
2 Amintore Fanfani, President of the UN General Assembly (1965-1966).
Giovanni Armillotta

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3 commenti su “Psicopatologia del politico II

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